Vocabolario Dantesco Latino
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Uguccione, C 28, 5 (s.v. cano): Canto componitur accanto -as, idest iterum vel iuxta cantare, concanto -as, idest simul cum alio vel simul plura cantare, decanto -as, idest valde cantare, et discanto -as, et excanto -as, idest discantare (DaMA).
Balbi (s.v. canto) = Uguccione (Mirabile).
NOTA:
Hapax nel lat. dantesco. Composto prefissale di de e canto, il v. ricorre in Eg. II 24 in relazione al canto del poeta-pastore Mopso («si Mopsus ... decantat in herbis / ignotis»). Il v. non presenta att. precedenti nella poesia bucolica, fatta eccezione per un’occorrenza nel Prologo delle Bucoliche di Marco Valerio (v. 17 «decantaverunt inconsummabiliora / formidandorum prelia celicolum»), e in generale è piuttosto raro nella poesia class. e mediev.: le prime occorrenze poetiche si registrano in Orazio (Carm. I 33, 3; Epist. I 1, 64), quindi in Seneca e Lucano (Sen. Oed. 562; Lucan. V 394), per proseguire limitate nella poesia tardoant. e mediolatina. Ben più numerose sono le occorrenze in prosa: ristrette nel lat. class., dove si concentrano perlopiù nelle opere ciceroniane (es. De orat. II 75; De div. I 105; Fin. IV 4, 10; Tusc. III 22, 53), esse registrano un netto aumento a partire dal lat. biblico e cristiano (frequenti le iuncturae «psalmos decantare» o «psalmista decantat», nel signif. di 'cantare, recitare') per riversarsi numerosissime nel lat. mediev., in testi di esegesi scritturale ma anche di genere storiografico, epistolografico, trattatistico.
Nel lat. dantesco il v. è costruito intransitivamente, secondo una modalità diffusa a partire dal lat. biblico e dell'esegesi scritturale (cfr. Dt 31, 19 «nunc itaque scribite vobis canticum istud et docete filios Israhel ut memoriter teneant et ore decantent»; Hier. In Is. VIII 26, 7 «unde et in alio psalmo super iusti securitate propheta decantat», CC), riscontrabile anche nelle due att. cronologicamente più contigue a D., di Giovanni del Virgilio, Diaff. V 89 e Albertino Mussato, Epist. XVIII 139, laddove nel lat. class. era preminente la costruzione transitiva (cfr. ThLL s.v. decanto).
La forma prefissata decanto ricorre nel lat. bucolico di D., nel signif. di “cantare”, in luogo del v. semplice canto, assai diffuso, insieme a cano, nella poesia pastorale fin da Virgilio. La forma base canto è invece utilizzata tre volte da Giovanni del Virgilio, Eg. III (vv. 26 «Si cantat oves et Tityrus hyrcos / aut armenta trahit»; 30 «audiat in silvis et te cantare bubulcum!»; 49 «simul cantabimus ambo», Poeti d'Italia), laddove D. vi ricorre solo in prosa (cfr. canto in VDL). Il lat. dantesco delle Egloge registra, oltre a decanto, i v. cano e poyo a esprimere la realizzazione del canto poetico, rispettivamente nella chiusa della prima e della seconda egloga (Eg. II 67; IV 97; vd. cano, poyo in VDL).
Il v. decanto presenta att. successive nella bucolica trecentesca, in Giovanni del Virgilio, Eg. Muss. 36 «quale melos Veneri decantat masculus amser» (Poeti d’Italia); Boccaccio, Eg. I 21 «curaque pastorum vel magna Dyonidis arma / sint calami limen nostri non alta valentis / decantare magis» (Poeti d’Italia); III 87 «nunquid arundine versus / decantare decens vel non, servabimus» (Poeti d’Italia); Bucc. XI 6 «Decantanda michi veniunt tua carmina Mopso» (Poeti d’Italia).