NOTA:
Se nel De vulg. il sost. designa il rapporto fra le rime proprio di un componimento poetico (relatio rithimorum), nella Mon. e in Ep. XIII ha sempre il signif. tecnico della categoria aristotelica dell'essere in relazione ad altro (relatio, ad aliquid = πρός τι), che riguarda il rapporto che la sostanza, o un ente, intrattiene rispetto a qualcos'altro (ad aliquid).

Per Aristotele, in particolare, ogni relatio è fondata sulla simultanea esistenza e riferibilità di due termini, definibili solo uno in riferimento all'altro. Maggiore-minore, servo-padrone, padre-figlio sono così tutti - in termini aristotelici - 'relativi' (relativa).

D. dimostra di conoscere la dottrina aristotelica delle relazioni soprattutto in Mon. III xii. In questo contesto, si trova infatti una serie di riferimenti «quasi ostentati» alla dottrina propria di Categorie 7. Al fianco della distinzione fra predicamentum substantie e «genus ‘ad aliquid’, sive relationis», in particolare, si trova la menzione esplicita del concetto di relativa e tutta una serie di indizi che dimostrano una conoscenza della materia che va ben al di là della littera delle traduzioni. In primo luogo, se l’esempio del dominus come termine relativo compare nel testo aristotelico, quello del pater richiamato da D. si trova solo nei commentari e nei Tractatus di Pietro Ispano. L’uso delle nozioni di forma substantialis e forma accidentalis per caratterizzare la natura della relatio, poi, è parimenti estraneo alle traduzioni e ai Tractatus. In maniera sintomatica, invece, lo ritroviamo di frequente nelle sezioni dei commentari coevi dedicate alla quaestio Utrum relatio sit substantia sive accidens. Notevolissimo, inoltre, è il conio dantesco del termine imperiatus per indicare tecnicamente la relatio corrispettiva del papatus. Proprio nella discussione sulle relazioni di Categorie 7 (sia pur in riferimento ai termini relativi) si rimarcava che «aliquotiens autem forte et nomina fingere necesse erit, si non fuerit positum nomen ad quod convenienter assignetur». La nozione di superpositio, infine, appare solo nei Tractatus e nei commentari di maestri influenti come Ruggero Bacone, l’Anonymus Matritensis, Pietro d’Alvernia, Simone di Faversham e Walter Burley.