Vocabolario Dantesco Latino
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alumni, Eg. IV 89
Isid. Orig. X i 3: alumnus ab alendo vocatus, licet et qui alit et qui alitur alumnus dici potest ; id est qui nutrit et qui nutritur; sed melius tamen qui nutritur (Mirabile).
Papias (s.v. alumnus): alumnus, qui nutrit ab alendo dictus, licet etiam qui nutritur alumnus dicatur (Mirabile).
Uguccione, A 119, 7 (s.v. alo): et hic alumnus -ni, idest qui nutrit et qui nutritur, unde hic alumnulus-li diminutivum, et alumnatus -a-um, idest nutritus, unde Martianus ‘secretis sanctioribus alumnate’; et hec alumna, que nutrit et nutritur, unde alumnula diminutuvum; et ab alumnus alumno-as-avi, idest nutrire, verbum activum (DaMa).
Balbi (s.v. alumnus) = Uguccione (Mirabile).
Nel lessico esegetico dei commenti danteschi il sost. compare con signif. sia attivo che passivo, spesso nell’ambito della metafora del nutrimento intellettuale di D.; tra gli esempi: Benvenuto da Imola ad Par. XXII 1-3 ‘Come parvol che ricorre sempre colà dove più si confida’, scilicet, ad matrem vel nutricem. Unde nota quod comparatio est propria de filio ad matrem; erat enim autor alumnus Beatricis, et illa mater et alumna, quae suo lacte foverat ipsum parvulum, scilicet minoribus doctrinis, puta grammatica, et rhetorica, quae sunt ancillae theologia; deinde cibaverat ipsum robustum pane et cibis fortibus, scilicet maioribus et altioribus scientiis, sicut philosophia, poetria, etc (DDP).
NOTA:
Hapax nel lat. dantesco. Derivato dal v. alo, il sost. ha valore attivo, con il signif. di ‘colui che nutre’, e passivo, con il signif. di ‘colui che viene nutrito’, secondo la documentazione di Serv. ad Aen. XI 33 per il lat. class. («ALUMNO alumnus est qui graece τρόφιμος dicitur: quod nomen quia Latinum non est, ut ab eo quod est nutritor, inveniamus eum qui nutritus est, transiit ad nomen aliud et alumnum dixit», CC), e di Papias e Uguccione per il lat. mediev. Comune a tutto il lat. precedente a D. è anche l’impiego sia proprio che fig. del sost., che designa qualcuno con la funzione di nutrire o educare qualcun altro.
Innovativo da parte di D. sembra invece l’uso del sost. in ambito bucolico: in Eg. IV 89, sulla scorta di Nonio Marcello, il sost. figura con il signif. attivo (Petoletti Eg. ad loc.); con il valore di ‘custode’, ‘allevatore del gran gregge’, sembra riferito, secondo quanto indica la glossa di L, il manoscritto Laurenziano autografo del Boccaccio, ad Alfesibeo-Fiduccio de’ Milotti, medico e filosofo, e quindi adatto a essere rappresentato dalla maschera bucolica dell’allevatore del grande gregge (Albanese Eg. ad loc.; Petoletti Eg. ad loc.). Pur di non vedere Titiro-Dante allontanarsi dai suoi pascoli e accogliere l’invito di Mopso-Giovanni del Virgilio a raggiungerlo presso gli antri etnei, Alfesibeo si è dilungato nel racconto degli orrori di Polifemo, che in quella parte di Sicilia risiede. Alle sue preoccupazioni, D. risponde col sorriso e con un silenzio di consenso, dimostrando di aver così ben recepito le ‘parole del custode del gran gregge’. In fine verso, il sost. chiude l’immagine del dialogo bucolico tra i due pastori.
Nella stessa posizione metrica, al genitivo come nel verso dantesco, il sost. è frequentemente impiegato sia tra i modelli class., ad es. Hor. Ars 239, che nelle attestazioni mediev., ad es. in Iacopo Stefaneschi, Opus metricum, II 351 (cfr. Corrispondenze). Nel lat. successivo a D. il sost. sembra poco impiegato in ambito bucolico; figura in Petrarca, Buc., X 188, con il signif. non di ‘custode del gregge’, ma di ‘allievo’, riferito ad Ovidio: «alloquor. Inde alius gelidi Sulmonis alumnus / multa iocans, longamque aciem per opaca latentum» (Poeti d'Italia).