Vocabolario Dantesco Latino
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De vulg. 1
Eg. 1
Isid. Orig. III xx 4: Euphonia est suavitas vocis. Haec et melos a suavitate et melle dicta (Mirabile).
Papias (s.v. melos): melos suave sonus dulcis cantilenae, a suavitate et melle dictum (Mirabile).
Uguccione, M 74, 2-3 (s.v. mellesse): melos, -dis et melos indeclinabile, idest dulcis cantus, dulcis modulatio; unde hec melodia, -e et hoc melodiama, -tis in eodem sensu, et dicitur melos vel melodia quasi mellea oda, idest dulcis cantus, et videtur esse ethimologia et non compositio (DaMA).
Balbi (s.v. melos) = Uguccione (Mirabile).
NOTA:
D. utilizza il sost. solo nella forma melos del nominativo (De vulg. II viii 5) e dell’accusativo (Eg. II 21), che corrisponde all’uso più diffuso nel lat. class. e mediev. Non si hanno dunque riscontri per la forma del genitivo, meleos nell’esito regolare class. (cfr. ThLL s.v. melos), melodis più diffusamente in area mediev. (cfr. Du Cange s.v. melos). Quest’ultimo è infatti att. da Uguccione e, sulla sua scia, da Giovanni Balbi, i quali registrano l’uscita in -odis oppure definiscono il sost. come indeclinabile (ma sull’uscita del genitivo dei grecismi cfr. anche Balbi, Cath., De genere nominum; e a questo riguardo Gianola, Il greco di Dante, pp. 96-106). Notevole in relazione all’uso dantesco è l’esito melode del volgare (Par. XIV 122; XXIV 114; XXVIII 119), utilizzato da D. alternativamente a melodia (Purg. XXIX 22; Par. XIV 32; XXIII 97; 109), secondo quell’interscambiabilità del termine già att. da Uguccione («dicitur melos vel melodia»), ripresa anche da Giovanni da Serravalle nel commento a Par. XIV 122 per spiegare melode: «unum melos, idest una melodia».
Il sost. ricorre nella iunctura «dulce melos» di Eg. II 21 a definire il canto di Mopso-Giovanni del Virgilio (e cfr. l’esito volgare di Purg. XXIX 22 «una melodia dolce»; Par. XXIII 97 «Qualunque melodia più dolce»). L’idea di dolcezza e di soavità del canto è connessa al termine fin dalle sue prime att. nel lat. arcaico (giunte per tradizione indiretta grazie a Nonio), e le def. di «dulce melos» e «suave melos» trovano ampio spazio nella lett. tardoant. e mediev. Il medesimo concetto è esplicito nelle def. dei lessicografi, a partire dalla paraetimologia di Isidoro «melos a suavitate et melle dicta», ripresa ad litteram da Papias, fino alla variazione di Uguccione e quindi di Giovanni da Genova: «melos ... idest dulcis cantus, dulcis modulatio». A quest’ultima si connette anche l’altra occorrenza del sost. nel lat. di D., in De vulg. II viii 5 per spiegare il termine tecnico modulatio tramite una serie di sinonimi, «nunquam modulatio dicitur cantio, sed sonus, vel thonus, vel nota, vel melos», in sede di definizione formale della “canzone” (cfr. Tavoni De vulg., ad loc.; vd. anche melodia, modulamen, modulatio in VDL; melodia in ED).
È uno dei rarissimi grecismi utilizzati da D. nelle Egloge (insieme a «poymus» di Eg. IV 97, per cui vd. poyo in VDL), che lo impiega con allungamento in arsi della sillaba finale di fronte a cesura eftemimera. Sarà ripreso da Giovanni del Virgilio, Eg. Muss. 4 «Tale melos edit mellitis tibia labris»; 36 «Inventumque novum et placidam mirabere vocem, / quale melos Veneri decantat masculus anser» (Poeti d'Italia), che ripropone la forma con allungamento in arsi (cfr. Pastore Stocchi Eg. Muss., pp. 20-21).
Nella poesia lat. quattrocentesca si registrano molte att. del sost. (in Filelfo, Landino, Pontano, Mantovano, Marullo etc.); tra le più vicine all’uso dantesco cfr. Panormita, Carm. 68, 58 «Dignus eris lauro, spargent te flore Camoenae / deque tuo facient profluat ore melos» (Poeti d'Italia); Poliziano, Sylvae IV 299 «Frustra suave melos frustra pia verba moventem» (Poeti d’Italia).