Vocabolario Dantesco Latino
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Ep. 1
Mon. 4
Questio 3
sillogismi, Ep. III 6; Mon. I iv 3; III viii 3; Questio 8; 10; 39
sillogismo, Mon. II v 23; III vii 3
Aul. Gell. Noct. II 8 Quod parum aequa reprehensio Epicuri a Plutarcho facta sit in synlogismi disciplina (CC); XV 26 quibus verbis Aristoteles philosophus definierit syllogismum; eius que definitionis interpretamentum verbis Latinis factum (CC); Quint. Inst. I x 38 nam et syllogismis, si res poscet, utetur et certe enthymemate, qui rhetoricus est syllogismus (CC); Sen. Ep. 108, 12 hunc illorum adfectum [cum] videris, urge, hoc preme, hoc onera relictis ambiguitatibus et syllogismis et cavillationibus et ceteris acuminis inriti ludicris (CC); Ep. 113, 26 dissilio risu, cum mihi propono soloecismum animal esse et barbarismum et synlogismum et aptas illis facies tamquam pictor adsigno (CC); Boeth. Cic. Top. 5 quo fit, ut, si et propositio et assumptio demonstrandae sint, quinquepertitus (ut Cicero etiam in Rhetoricis auctor est) syllogismus fiat, constans ex propositione eius que probatione, assumptione eiusdem que probatione, et conclusione (LLT); Diff. Top. II II 3 syllogismus est oratio, in qua positis quibusdam et concessis aliud quiddam per ea ipsa quae concessa sunt evenire necesse est quam sunt ipsa quae concessa sunt (LLT).
Aristotele, Anal. priora, I 1 (rec. Florentina) syllogismus autem est oratio in qua positis quibusdam aliud quid ab his quae posita sunt ex necessitate accidit eo quod haec sint (ALD); Top., I 1 (tr. Boezio) est igitur syllogismus oratio in qua positis quibusdam aliquid aliud a positis ex necessitate accidit per ea quae posita sunt. Demonstratio ergo est quando ex veris et primis syllogismus erit, aut ex talibus quae per aliqua prima et vera eius quae circa ipsa est cognitionis principium sumpserint (ALD); Alberto Magno, Anal. priora I, l. 5, c. 4 Si autem datur tertium membrum, scilicet quod concluditur aliquod aliud praeter haec tria quae dicta sunt, scilicet quod nec principalis conclusio, nec major, nec minor syllogismi principalis: tunc plures erunt illi syllogismi et inconjuncti ad invicem et incommunicantes in terminis (LLT); Enrico di Gand, Quodlibet VII, q. 23 qui ergo vult obviare ultimae et principali quaestioni in isto casu, specialiter necesse habet resistere primo maiori principalis syllogismi de qua est ista quaestio (LLT); Sigieri di Brabante, Quaest. caus., 56 maior principalis syllogismi patet: secundum enim quod agens reducere potest aliquid in actum ex remotiore potentia ad esse, secundum hoc perfectius est et maioris vigoris (LLT).
Isid. Orig. II ix 1: syllogismus Graece, Latine argumentatio appellatur. Argumentatio autem dicta est, quasi argutae mentis oratio, qua inventum probabile exequimur. Syllogismus igitur est propositionis et adsumptionis confirmationisque extrema conclusio aut ex ambigentis incerto, aut ex fiducia conprobantis. Constat enim tribus partibus: propositione, adsumptione, conclusione; syllogismis autem non solum rhetores, sed maxime dialectici utuntur (Mirabile).
Papias (s.v. syllogismus): syllogismus graece et latine dicitur argumentatio vel inevitabile quo inventum probabile exequimur. Syllogismus est igitur: praepositionis, assumptionis, confirmationisque extrema conclusio. Syllogismis autem non solum rethores sed maxime dialectici utuntur [...]. Syllogismus est oratio in qua positis quibusdam et concessis per ea ipsa quae concessa sunt propositionem scilicet et assumptionem aliud quidam necesse est evenire quam sunt ea quae concessa sunt, idest conclusio (Mirabile).
Uguccione, L 94, 13-14 (s.v. logos): item ‘logos’ componitur cum ‘sin’, quod est ‘cum’, et dicitur hic sillogismus quasi collectio et coniunctio sermonum, unde sillogisticus -a -um et sillogizo -as, concludere et proprie sillogizando vel sillogismos facere (DaMA).
Balbi (s.v. syllogismus): syllogismus […] est oratio quaedam in qua quibusdam positis, idest praemissis duabus propositionibus, necesse est quod aliquid aliud sequi, idest conclusio […]. Syllogismus constat ex tribus terminis et duabus propositionibus, quarum prima vocatur maior, secunda vero minor (Mirabile).
Benvenuto da Imola ad Par. XI 2: Est autem syllogismus apud logicos oratio constans ex tribus propositionibus; quarum prima vocatur maior, secunda minor, tertia conclusio. Modo syllogismi hominum saepe sunt defectivi, quia non concludunt verum (DDP).
Giovanni di Serravalle ad Par. XI 2: nam syllogismus est argumentum constans ex tribus propositionibus, scilicet maiori, minori et conclusio (DDP).
NOTA:
Grecismo. Il sost., ampiamente att., deriva dal greco συλλογισμὸς e designa la struttura argomentativa fondamentale della logica aristotelica, su cui i medievali edificarono la propria concezione di scienza.
Nel lat. mediev. si rinviene tanto la forma syllogismus, quanto la variante sillogismus, che è quella att. nelle opere di D.
Aristotele definisce il sillogismo un discorso (λόγος) in cui, poste alcune cose, segue di necessità qualcosa di diverso da quelle in virtù 'del loro essere in quel modo' (τῷ ταῦτα εἶναι) (cfr. Anal. priora I 1; Top. I 1). Nonostante l’ampiezza di questa def., Aristotele, nel corso dell'Organon, restringe di fatto la sua trattazione ai cosiddetti sillogismi 'categorici', ossia argomenti composti da tre proposizioni categoriche e tre termini in comunicazione tra loro. Le prime due proposizioni costituiscono le premesse e sono dette, rispettivamente, 'premessa maggiore' e 'premessa minore'; la terza, invece, rappresenta la conclusione. I tre termini di cui esse si compongono sono detti 'estremo maggiore', 'estremo minore' e 'termine medio' (Anal. priora I 4); l’estremo maggiore è quello che compare insieme al medio nella premessa maggiore; il minore quello che compare insieme al medio nella premessa minore; il termine medio è quello che si trova in entrambe le premesse e che mette i due estremi in comunicazione fra loro. Il sillogismo, inoltre, è detto: (i) 'diretto' se nella conclusione l’estremo maggiore è predicato del minore; (ii) 'indiretto' se invece è il minore a essere predicato del maggiore.
Dai commentari di Filopono in avanti (prima metà del VI secolo), si usa identificare l’estremo maggiore con il termine che costituisce il predicato della conclusione e il minore con quello che ne costituisce il soggetto, a prescindere dall’ordine di apparizione delle premesse. A seconda della disposizione dei termini nelle premesse si distinguono poi tre "figure" (vd. figura; a cui talvolta i medievali ne aggiungono una quarta), che combinate con la quantità/qualità delle premesse danno origine a dei "modi" (tradizionalmente quelli considerati validi erano 24).
Nel corso del Medioevo, a partire da Boezio, lo studio del sillogismo categorico è affiancato da quello del sillogismo ipotetico e di quello composto da proposizioni modali. Il nucleo teorico della dottrina di base, tuttavia, rimane pressoché invariato, anche se la tendenza dei commentatori a glossare analiticamente le clausole della definizione di Anal. Pr. I 1 origina talvolta alcune lievi differenze nell’interpretazione dell’estensione della classe dei sillogismi. Nel XII e XIII secolo i principali autori di summule coniano delle formule mnemoniche per designare i modi sillogistici validi, che si stabilizzano come parte dell’insegnamento scolastico e universitario (e che incorporano anche le regole per la loro riduzione alla prima figura).
Dal canto suo, D. usa estesamente lo strumento del sillogismo lungo tutto l’arco della sua produzione. È però nella prosa filosofica del Conv. e, soprattutto, nelle dimostrazioni scientifiche della Mon., che dimostra di conoscere e saper impiegare con precisione aspetti anche piuttosto tecnici della teoria. Nello specifico: (i) si serve con precisione dei termini tecnici che designano le premesse (maior; minor cfr. Mon. I xiv 7; III vii 3; viii 4; x 3-4; xiii 5; xv II) e gli estremi (III iv 21-22; v 3); (ii) costruisce argomenti che designa come 'sillogismi principali' distinguendoli dai 'prosillogismi' (o 'sillogismi secondari'; vd. prosillogismus), secondo un uso largamente diffuso dall’opera di Kilwardby in avanti (I xi 9); (iii) dimostra di conoscere le regole specifiche della seconda figura (I xi 9) e quelle della riduzione delle consequentiae a modi sillogistici (II x 9); (iv) distingue, sulla scorta di Soph. El. 18 (176b 31-32), la materia del sillogismo (il contenuto delle premesse e della conclusione) dalla sua forma, richiamando il requisito formale dei tre termini contro l’errore logico della cosiddetta quaternio terminorum (III v 3; vii 3); (v) ricorda il fondamentale criterio di validità per cui in un sillogismo con premesse false è impossibile che risulti una conclusione vera (sebbene sia possibile che da parole che significano il falso (signa falsi) seguano parole che significano il vero (signa veri); II iv 23-24). Nel corso del primo libro viene peraltro sancita una stretta connessione tra vere philosophare e sillogizare (Mon. I ix 2: «ut phylosophando evidentissime humana ratio deprehendit si vere sillogizatum est»). Altri rilievi specialistici sono quelli di Conv. IV ix 6; Ep. III 6; Questio 8 e 10. Parallelamente a questi usi "tecnici" della teoria, D. ne esibisce talvolta anche alcuni squisitamente letterari. Sono famosi, nella Commedia, i riferimenti ai defettivi sillogismi di Par. XI 2 e all’argomentazione del nero cherubino di Inf. XXVII 119-123. In alcuni significativi passaggi, inoltre, D. si serve del linguaggio del sillogismo per la costruzione di importanti similitudini, analogie e metafore. In Par. XXIV 91-96, ad esempio, l’azione dello Spirito Santo nel donare la «cara gioia» della fede a D. è paragonata ad un sillogismo che perviene alla sua conclusione con assoluta necessità («La larga ploia / de lo Spirito Santo, ch’è diffusa / in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia, / è silogismo che la m’ha conchiusa / acutamente sì, che ’nverso d’ella / ogne dimostrazion mi pare ottusa»). Nella Mon., analogamente, il lessico tecnico del sillogismo (nella sua versione "pratica") si trova impiegato in questo modo in almeno tre occasioni: (i) in I xiv 7 la regola comune della pace è paragonata alla premessa maggiore (maior propositio) di un sillogismo a cui i principi locali aggiungono una premessa minore particolare per trarne un’azione particolare come conclusione; (ii) in II vi 5 il fine ultimo del genere umano è paragonato a un termine medio (aliquod medium necessarium) per il raggiungimento del fine universale della natura; (iii) in III xvi 8, infine, le due beatitudini a cui è ordinato il genere umano sono paragonate a due conclusioni raggiungibili attraverso diversi termini medi (cioè gli insegnamenti dei filosofi e gli insegnamenti spirituali): «ad has quidem beatitudines, velut ad diversas conclusiones, per diversa media venire oportet».