Vocabolario Dantesco Latino
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inmeritus, Ep. II 4, III 1, V 1, VI 1, VII 1
inmeriti, Ep. XI 25
ampiamente att., sia con valore attivo di «qui non meretur malum: i. q. innoxius» (ThLL s.v. immeritus 1 active a) e di «qui non meretur bonum: i. q. non probatus, indignus» (ThLL s.v. immeritus 1 active b), sia con valore passivo «notione meriti integra i. q. non debitus» (ThLL s.v. immeritus 2 passive).
ampiamente att. con gli stessi valori del lat. class., cfr. DMLBS s.v. immeritus.
Uguccione, M 89, 18 (s.v. mereo): Et a mereor meritus -a -um, et componitur immeritus -a -um, et hoc meritum -ti (DaMA).
Balbi (s.v. meritus): meritus a mereor, mereris, dicitur meritus, -ta, -tum et emeritus, -ta, -tum et immeritus, -ta, -tum (Mirabile).
NOTA:
Composto dell’agg. meritus con prefisso in- di val. negativo e privativo, att. a partire da Virgilio, soprattutto in poesia [ThLL s.v. immeritus: «inde a Verg. (usu quasi adverbiali ap. Plaut.) fere apud poetas, in prosa inde a Liv.»].
Termine esclusivo delle Epistole, in cui viene impiegato con il signif. attivo di «qui non meretur malum, i. q. innoxius» (ThLL s.v. immeritus 1 a). Si registrano 6 occorrenze dell’agg., di cui 5 in unione con il sost. exul (vd. exul in VDL). Il sintagma exul inmeritus, solenne clasuola di cursus tardus (polisillabo parossitono + quadrisillabo proparossitono: éxul inméritus), ricorre in Ep. II 4, in un passo ricco di argomenti topici sulla condizione dell'esiliato (cfr. nello stesso paragrafo «patria pulsus» e al paragrafo 8 «inopina paupertas quam fecit exilium»), e poi nelle salutationes di Ep. III, V, VI, VII, per designare lo stesso D., esule senza colpa, e si configura come un’efficace autorappresentazione che diviene marca distintiva delle Epistole dantesche. In Ep. XI 25, invece, l’agg. è riferito ai cardinali Iacopo e Pietro Colonna: il gioco di parole non emeriti sed inmeriti sottolinea che, sebbene non meritevoli («non emeriti») del titolo cardinalizio, i due furono ingiustamente deposti («sed inmeriti») da Bonifacio VIII.
Come notano i commentatori, l’agg. inmeritus per definire la propria condizione di esiliato deriva probabilmente a D. da Met. XV 504 «me […] meritumque nihil pater eiecit urbe», passo in cui Ovidio narra dell’esilio di Ippolito, e più precisamente dalla variante «inmeritumque pater proiecit ab urbe» tràdita da alcuni mss. delle Metamorfosi del XII sec. (cfr. Hollander ad Par. XVII 46-48, Inglese ad Par. XVII 46-47). Il passo ovidiano è alle origini anche dell’episodio di Par. XVII 46-48 («Qual si partio Ipolito d’Atene / per la spietata e perfida noverca, / tal di Fiorenza partir ti convene»), in cui Cacciaguida instaura un parallelo tra l'esule Ippolito e l’esule D.: come Ippolito, innocente, fu cacciato dal padre dalla città di Atene per le calunnie della matrigna Fedra, così D., ingiustamente accusato di baratteria, sarà costretto a lasciare Firenze.
Nei volgarizzamenti di Ep. V e Ep. VII exul inmeritus viene tradotto con «confinato non meritevolmente» (volg. Ep. V); «sbandito immeritamente» (volg. A Ep. VII); «non meritevolmente sbandito» (volg. B Ep. VII).