Vocabolario Dantesco Latino
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De vulg. 3
Ep. 4
Mon. 3
Isid. Orig.. V xxvii 28: Exilium dictum quasi extra solum. Nam exul dicitur qui extra solum est. Unde postliminium redeuntibus, hoc est de exilio reducendis, qui sunt eiecti in iniuria, id est extra limen patriae. Dividitur autem exilium in relagatis et deportatis (Mirabile).
Papias (s.v. exilium): exilium dicitur quasi extra solum ab exule, quod dividitur in relegatis et deportatis (Mirabile).
Uguccione, L 42, 25 (s.v. lego): relego -as, idest remittere, et relegare idest damnare, in exilium mittere, unde relegatio -nis, scilicet quoddam genus damnationis, scilicet cum aliquis pro aliquo commisso interdicebatur a patria et privatim iubebatur discedere et sua non amittebat et spem revertendi habebat; unde relegatus, sic damnatus. Hoc modo fuit damnatus Ovidius, unde ipse De Ponto (1, 7, 47) «nec vitam nec opes nec ademit posse reverti», (ibid. 42) «parva relegari pena futura fuit». Et dicitur relegare sic damnare, quia relegatus semper habebat spem ut retro legaretur, idest ut reverteretur; (DaMA); L 74, 11 (s.v. limis): et hoc liminium, idest captivitas, exilium, espulsio extra limen, et componitur hoc postliminium, idest reversio de exilio ad iura que amiserat, vel ius quod quis vindicat sibi super rebus suis post reversionem de exilio (DaMA); P 61, 2 (s.v. pena): et sunt VIII genera penarum in legibus, scilicet damnum, vincula, verbera, talio, ignominia, exilium, servitus et mors (DaMA); S 185, 17 (s.v. solus): Item solum componitur cum ex et dicitur exulo -as, idest extra solum sue terre poni, exterminari, et est neutrum passivum et sic debet construi: 'ego exulo a rege' et non debet dici 'ego exulo illum'; unde hic et hec exul -is, idest extra solum proprium positus, et hinc hoc exilium, et exulanus -a -um, qui exulat (DaMA); T 78, 32 (s.v. tero): unde hoc exterminium, idest desolatio, extra terminos eiectio, exilium, et exterminabilis -le, et componitur inexterminabilis -le (DaMA).
Balbi (s.v. exul): et hinc hec exilium, -lii quia extra solum proprium positum, extra terminum (Mirabile).
NOTA:
Nella Roma antica con il termine exilium si intendeva ogni forma di allontanamento dalla patria, incluso l’allontanamento volontario. Nella tarda età repubblicana entrò nella prassi giudiziaria lo ius exilii, ossia un beneficio con cui l'imputato evitava la pena capitale e si auto-esiliava abbandonando Roma. L’exilium dunque non era una pena ma un diritto sancito dalla legge (cfr. Cic. Caecin. 34, 10 in Corrispondenze). Solo in epoca imperiale divenne una pena prevista dalla norma giuridica che si articolava in tre formule diverse: l’interdictio aqua et igni, che consisteva nell’allontanamento definitivo dal suolo romano con la perdita della civitas; la deportatio in insulam, in cui l’allontanamento poteva essere temporaneo, ma l’esule perdeva comunque la cittadinanza romana e subiva la confisca dei beni totale o parziale; la relegatio in insulam, punizione più lieve che comportava l’allontanamento coatto ma non la perdita dello status civitatis, né la confisca dei beni, né la possibilità di rientro (cfr. Corrispondenze e Ferrara, Tra pena giuridica e diritto morale, pp. 53-54). Isidoro (che inserisce la spiegazione di exilium nel capitolo De poenis in legibus constitutis) e Papia conoscono la deportatio e la relegatio, ma non l’interdictio, espressione che già a partire dalla dinastia dei Severi venne progressivamente abbondanata. Uguccione, sebbene non dedichi al lemma una trattazione specifica, elenca l'exilium tra le otto tipologie di pena previste dalle leggi e utilizza la formula mittere in exilium per spiegare il verbo relegare, citando come illustre esempio di relegatus Ovidio.
L’istituto del bando mediev., invece, estraneo al mondo romano, traeva origine dall’antico diritto dei popoli germanici, dal quale fu mutuato nella legislazione statutaria dell’Italia comunale. Il bannum, ossia l'esclusione dalla civitas, intesa nel doppio significato di città e di diritto di cittadinanza, comportava la perdita dei diritti di residenza e di protezione giuridica della persona e dei suoi beni e costituiva il principale meccanismo previsto dai legislatori comunali per punire gli attacchi avanzati nei confronti dell’autorità e dell’indirizzo politico dominante (cfr. bannitus in VDL; Milani, L’esclusione dal Comune; Ricciardelli, Confini e bandi).
D. utilizza il termine exilium con il signif. tecnico-politico di 'allontanamento dalla patria', sempre con rif. a episodi determinati, e non ricorre mai al termine bannum, che non registra alcuna att. nel corpus lat. dantesco. Si riferiscono alla vicenda personale dell'autore le occorrenze di exilium in De vulg. I vi 3, I xviii 6, II vi 4, Ep. II 8, XII 6 (cfr. anche exul, inmeritus, perpetior in VDL). In Mon. II v 8 e 12 il termine è invece utilizzato per l’esilio di Marco Furio Camillo (secondo Pastore Stocchi Ep., p. 91 è probabile che «Dante conservi una qualche memoria, più o meno cosciente, di quell’antica eroica vicenda e la proietti su se stesso»); in Mon. III xi 3 per la deposizione e deportazione in Germania di papa Benedetto V. In Ep. VI 17 exilium è rif. alla condizione dei Fiorentini ribelli che, sopravvissuti alla morte e alla prigionia dopo l'intervento dell'imperatore, verranno puniti con l’esilio. Nell’occorenza di Ep. IV 4, infine, il termine è impiegato per Amore che si ripropone a D. come un ferox dominus cacciato dalla patria dopo un lungo esilio: D. infatti aveva da tempo abbandonato la poesia amorosa per dedicarsi alle meditazioni filosofiche.
Anche in volg. il termine è utilizzato con il signif. tecnico-politico di 'allontanamento dalla patria', spesso in rif. alla vicenda personale di D., per cui vd. essilio in ED.