Hapax nel lat. dantesco. Nel ThLL il v. non compare; vi è att. solo il sost. provigilium (vd. Corrispondenze), peraltro sospettato di essere una corruttela di pervigilium dall’editore; ovviamente la confusione tra i due preverbi è facilissima, come anche la tradizione della Mon. dimostra. Provigilium è comunque noto al lat. mediev.
La lezione nella Mon. è discussa, dal momento che la maggior parte dei codici e quasi tutti gli editori stampano pervigilem, mentre Chiesa-Tabarroni Mon. accolgono provigilem. Il problema sul passo della Mon. era già stato sollevato – senza però schierarsi – da Gianola, Le opere latine, p. 414-5. Provigilo non è del tutto sconosciuto al lat. mediev., sebbene sia stato possibile reperirne una singola altra att. (vd. Corrispondenze). Non potendosi dirimere la questione su base stemmatica (in quanto le due varianti hanno uguale valore da questo punto di vista), gioca a favore di provigilem la predisposizione di D., in particolare nella Mon., ai composti con pro dotati di forte pregnanza semantica: un esempio è prolaboro (per cui vd. VDL s.v. prolaboro), sempre nel proemio della Mon., che pur essendo pure un neologismo è solidamente att. dai codici. A favore di provigilo, si può portare anche la forte tensione al bene futuro a cui è orientato l’intero prologo della Mon. (vd. Chiesa-Tabarroni Mon., p. cxxxvi). È necessario ricordare, peraltro, che pervigilo è largamente att. in lat. sia class. che mediev., ma il passo della Mon. sarebbe l’unica att. in D., lat. e volgare; oltre ad essere una facile corruttela paleografica, dunque, pervigilo è anche indubbia lectio facilior.
La versione dei principali traduttori tiene sempre conto del nesso con utiliter, sia quando la lezione scelta è il v. pervigilo (Nardi Mon., «le mie veglie tornin di giovamento», e Quaglioni Mon. «le mie fatiche siano di utilità»), sia quando è provigilo di Chiesa-Tabarroni Mon. («riuscire utile»). Nel campo dedicato è parso utile adottare una Def. più estesa per rendere conto della pregnanza semantica del termine, per cui cfr. Chiesa-Tabarroni Mon., p. cxxxvi.
La presenza di provigilo nelle Epistole di Pasquale II (vd. Corrispondenze) impedisce, a rigore, di riconoscere nel termine un neologismo tout court (come è considerato in Chiesa-Tabarroni Mon., p. cxxxvi); anche se poi, all’atto pratico, è assai probabile che D. lo abbia coniato (o ri-coniato) autonomamente a sua volta. Il passo di Pasquale II si legge nell’ed. della Patrologia Latina [163, c. 283D]; è registrato in Blaise Mediev. s.v. provigilo, dove tuttavia esso è attribuito erroneamente a Urbano II. L’errore è poi passato nel DLD.
Non è documentato un corrispettivo volgare.