Mon. 1
passionare, Mon. I xi 6
Hapax nel lat. dantesco. Il v., non registrato nel ThLL, estraneo al lat. class. e tardoant. e non presente nei principali repertori del lat. mediev., trova la sua origine (come formazione denominale da passio) in età mediev. e più precisamente all’interno del linguaggio scolastico, ove ha il signif. di 'assoggettare a passioni' (cfr. es. Guglielmo di Ockham, Quodl. II 15) e risulta in larga parte utilizzato nei suoi modi indefiniti (cfr. es. Raimondo Lullo, Nov. phys. 3 e Engelberto di Admont, Speculum VI 7). Oltre al senso evidenziato, il verbo assume anche quello di 'provocare sofferenza'.
Il v. è registrato nel lessico di Firminus Verris (s.v. passio):«Passiono .nas .natum .i. passionem inferre (...)»; qui il suo signif. è ambiguo: a seconda del valore che si assegna a passionem, infatti, ricade ora nel primo ora nel secondo ambito semantico individuato.
L’unica occorrenza del v. in Mon. può essere ricondotta al campo scolastico sopra richiamato; diverse, però, sono le vie seguite dai traduttori per la resa del termine: aderente alla valenza tecnica è la proposta di Chiesa-Tabarroni Mon. (“suscitare passioni”; simile è Pizzica Mon.: “suscitare passioni di parte”), mentre interpretativi sono Quaglioni Mon. (“turbare l’animo”) e Vinay Mon. (“influenzare”).
Il v. ricorre anche in più luoghi del Conv. conservando il medesimo signif. di Mon. (“dominato ovvero influenzato da passione”, vd. ED). All’interno dei commenti lat. alla Commedia, invece, il vocabolo ricorre quasi esclusivamente in contesti che rimandano alla sofferenza e alla pena; cfr. es. Pietro Alighieri (3) ad Inf. XI 28-51: «primum circulum auctor subdividit in tres, de quibus, et de animabus talium violentorum passionatis in eis, dicitur» (DDP).
Interessante è notare che il v. compare accompagnato da iudex in funzione di oggetto – e quindi in un sintagma uguale a quello presente in Mon. I xi 6 – anche in Egidio Colonna, Reg. princ. III ii 21; è possibile, quindi, che quello qui testimoniato sia un uso tecnico di passionare, nel senso specifico di 'influenzare il giudice' (vd. Favero, Qualche considerazione).