garrio, -ire (v.)

1. gridare apertamente il proprio dissenso.
Ep. XI 18 Sed, o patres, ne me phenicem extimetis in orbe terrarum; omnes enim que garrio murmurant aut mussant aut cogitant aut somniant, et que inventa non attestantur.
Ep. 1

garrio, Ep. XI 18

-

Hapax nel lat. dantesco; ampiamente att. nella latinità in relazione al suono e allo strepitio della voce degli uomini e del verso degli uccelli e delle rane (cfr. MLW s.v. garrio 1 a-b). Nel passaggio dal lat. class. a quello tardoantico il v. subisce degli slittamenti semantici: dal signif. di ‘parlare molto e a voce alta’ si sviluppa il signif. di ‘inveire contro qualcuno’, utilizzato soprattutto nel lat. patristico e negli autori cristiano-mediev. D. riprende il signif. che il v. assume in ambito religioso per indicare l’atto di ribellione degli eretici che urlano contro la Chiesa e lo adatta al contesto di Ep. XI per la propria azione di denuncia etico-politica. L’intero passo di Ep. XI 18 è costruito sul termine tecnico retorico garrire, ripreso al par. 20 dal corrispettivo agg. garrulus (vd. garrulus VDL): D. denuncia pubblicamente la corruzione della Chiesa all’indomani della morte di Clemente V, urlando quello che gli altri invece mormorano (murmurant), bisbigliano (mussant), pensano (cogitant) o addirittura solamente sognano (somniant). Il v. garrire ha forti tangenze con il genere della satira intesa come denuncia sociale e politica e l’accostamento con i v. murmuro, musso, cogito, somnio, in una gradatio crescente di signif. opposto, ne rafforza il valore retorico nel senso di ‘rimproverare aspramente, denunciare, gridare apertamente il proprio dissenso’, accezione non registrata dai moderni lessici di lat. class. e mediev. Proprio il latinismo garrire è impiegato nella significativa definizione della satira nell’ambito della descrizione retorica dello stile della Commedia nel Proemio all’Inferno dell’Ottimo: «Satira è uno stile di trattare con riprensione e quasi garrire, sì come in Orazio». 

In volg. il latinismo garrire registra la sua prima occorrenza nella Rettorica di Brunetto Latini con il signif. di ‘parlare in modo eccessivo, a voce alta’ ed è impiegato da D. due volte nella Commedia con lo stesso signif. di Ep. XI di 'rimproverare solennemente, gridare il proprio dissenso' (Inf. XV 92 «pur che mia coscienza non mi garra»; Par. XIX 147 «per la lor bestia si lamenti e garra»; vd. la voce garrire in ED). Il v. garrire è utilizzato in dittologia sinonimica con il v. sclamare da Giovanni Villani, che conosceva Ep. XI (Nuova cronica, X 136, p. 336: «e in tra·ll'altre fece tre nobili pistole [...]; la terza a' cardinali italiani, quand'era la vacazione dopo la morte di papa Chimento, acciò che s'accordassono a eleggere papa italiano»), proprio per descrivere la poesia dantesca della Commedia: «Bene si dilettò in quella “Commedia” di garrire e sclamare a guisa di poeta, forse in parte più che non si convenia; ma forse il suo esilio gliele fece» (Nuova Cronica, X 136, p. 337). Villani condensa dunque nell’endiadi sinonimica «garrire e sclamare» la cifra distintiva dell’impegnata scrittura dantesca, vale a dire la matrice ideologica di stampo satirico. Per approfondimenti sul v. tecnico-retorico garrire e i suoi derivati tra lat. e volg. dantesco, con analisi della ricezione nella biografia dantesca di Giovanni Villani, cfr. da ultimo Albanese, Il Liber Dantis Alligherii, pp. 349-412, in particolare alle pp. 393-398.

-
Voce corrispondente nelle opere volgari di Dante:
garrire, vd. ED (B. Basile).
Latino classico e tardoantico:

ampiamente att. con il signif. di ‘parlare rapidamente, ciarlare a voce alta’ ma anche ‘dire sciocchezze’ («de hominum sermone, idem quod stulta, inepta, superflua, falsa similiter proferre», ThLL s.v. garrio B) e ‘scherzare, prendersi gioco di qualcuno’ («iocum vel plerumque convicia proferre, semel fere idem quod illudere alicui», ThLL s.v. garrio B 4); impiegato anche in rif. agli uccelli, con il signif. di ‘stridere, cantare’, cfr. OLD s.v. garrio 1 e 2. Nel lat. tardoant. il v. assume il signif. di ‘inveire contro qualcuno, scagliarsi contro a parole’ (vd. ThLL s.v. garrio B 4: «saepius invehi in aliquem»), soprattutto in ambito religioso come ad es. in 3 Gv. 10 Nos ergo debemus suscipere huiusmodi, ut cooperatores simus veritatis. Scripsissem forsitan ecclesiae sed is qui amat primatum gerere in eis, Diotrepes, non recipit nos. Propter hoc, si venero, commoneam eius opera quae facit verbis malignis garriens in nos, et quasi non ei ista sufficiant, nec ipse suscipit fratres et eos, qui cupiunt prohibet et de ecclesia eicit (Bibliotheca Augustana); Aug. Serm. 279, 13 Quantumlibet perstrepant, quantumlibet carnali suavitati se inpendant, quantumlibet contra Christi divina cantica flagitiosa garriant et saltent [scil. pagani], pauciores sunt hodie quam heri (Augustinus); Rufin. Hist. XI 15 Sed quamvis illa Jezabel spiritu pugnaret armata, resistebat tamen Ambrosius, Eliae virtute repletus et gratia. Ipsa autem in Ecclesiis garrire, strepere, animare, et inflammare ad discordiam populos (CC).

Latino medievale:

ampiamente att., nel lat. mediev. si afferma il signif. di 'urlare', vd. Du Cange s.v. garrire e MLW s.v. garrio. Come nel lat. tardoant., il v. garrire è impiegato con il signif. di 'inveire contro, urlare il proprio dissenso', spesso in rif. agli eretici che protestano contro la Chiesa; vd. ad es. Adriano I, papa, Epist. 621 Sed his omnibus vestram suadentes regalem excellentiam quaesumus, ut linguas dolosas, quae adversus sanctam Romanam catholicam et apostolicam ecclesiam garrire simulant, procul dubio longe a vobis respuantur, et nullo modo labiis iniquis et dolosis credere iubeatis (CC); Paolino d’aquileia, Contra Felic. I i 29 ut heretici garriunt (CC); Paolino d’aquileia, Epist. p. 523 “Si credideris”, ait apostolus, “in corde tuo dominum Iesum Christum, et ore tuo confessus fueris, quod Deus suscitaverit eum a mortuis, salvus eris”. Qui vero biberit ex huius scripturae calice ore perfido, corde pessimo, mente perversa, et praesumpserit, quemadmodum hereticus iste perfida voce garrire dominum nostrum Iesum Christum propter magnum pietatis sacramentum, nuncupativum Deum et adoptivum filium, hic morte morietur et non vivit (ALIM); Lanfranco dal Ticino, De corpore XVI Verum, o infelix anima, de haeresi ad perjurium prius transisti, nunc iterum de perjurio ad haeresim remeasti; propterea traditus in reprobum sensum sanctam Romanam Ecclesiam vocas Ecclesiam malignantium, concilium vanitatis, sedem Satanae. Et hoc impio ore garristi, quod garrisse nemo legitur, non haereticus, non schismaticus, non falsus aliquis Christianus (CC); Alberto Magno, Commentarii, p. 330 omnes infideles garriunt contra fidem de numero personarum (LLT). 

Lessicografi medievali:

Isid. Orig. XI i 58: gurgulio a gutture nomen trahit, cuius meatus ad os et nares pertendit: habens viam qua vox ad linguam transmittitur, ut possit verba conlidere. Unde et garrire dicimus (Mirabile).
Papias (s.v. garrire): garrire, multa verba dicere, sordide loqui, sine ratione (Mirabile).
Uguccione, G 26, 1-2 (s.v. garrio ): garrio, -ris, verbosari, gaudere, blandiri, iocari. Proprie tamen est multa verba dicere, sordide loqui (DaMA).
Balbi (s.v. garrio) = Uguccione (Mirabile).

Commentatori danteschi:
-
Autore: Elena Vagnoni.
Data redazione: 17.11.2021.