civilitas, -atis (s.f.)

Il vocabolo è molto discusso nei commenti moderni, e gli sono stati dedicati tre contributi specifici, a cui in generale rimandiamo (Minio Paluello, Tre note; Rosier-Catach, Civilitas; Santi, Humana civilitas). La prima grande distinzione è tra l’uso att. classicamente da Svet. ed Eutr., poi variamente ripreso, ad indicare la qualità personale dell’essere civilis (cfr. ThLL s.v. civilitas II, de moribus et cultu; non presente in D.), e l’uso con accezione nel contesto tecnico della politica, anch’esso att. in antico (Quint., Apul. e Amm.) ma sempre in dipendenza da passi greci: Platone (Quint. Inst. II xv 25 da Gorgia 463D, come Apul. e Amm.; Quint. Inst. II xvii 14 da Gorgia 464B); Aristotele (per Quint. Inst. II xv 33 sono presupposti passi da Eth. Nic. e Rhet. dove si discute del rapporto tra ῥητορική e πολιτική). In questa accezione, civilitas identifica la politica in generale, o l’arte del governare (cfr. ThLL s.v. civilitas I, de regendis civibus, e Castiglioni-Mariotti s.v. civilitas 1), o il diritto di cittadinanza (cfr. ThLL s.v. civilitas III, Cassiod. Ios. II 41 – ancora una volta tratto dal greco πολιτεία; ma non così Cassiod. Ios. II 69, o nelle numerose occorrenze dalle Variae); raramente identifica la universitas civium o è sinomino di civitas (vd. ThLL s.v. civilitas IV, universitas civium, cfr. ad es. Novell. Anth.) forse con risonanza in qualcuna delle occorrenze dantesche, come De vulg. I ix 4, dove però la lezione è incerta (vd. Varianti).

Nel medioevo, pur essendo ampiamente presente l’accezione morale svetoniana (da Ennodio, a Paolo Diacono, fino a Erasmo da Rotterdam) si sviluppa una quarta e innovativa accezione, prossima a quella quintilianea, seppur non dipendente da essa: riguarda l’aspetto istituzionale, costituzionale e politico di una comunità organizzata. Il tramite per questa accezione medievale sono le traduzioni di Aristotele (nel caso di Quint., i passi corrispondenti del Gorgia e della Rhetorica hanno πολιτική, ma i medievali con civilitas traducono πολιτεία). Non scompaiono gli altri signif.: traduttori come Ermanno Alemanno impiegano il vocabolo col signif. politico quando traducono πολιτεία, con quello morale class. in altri luoghi; Pietro d’Alvernia, accanto al senso di ‘governo’, mantiene altrove quello di ‘diritto di cittadinanza’ (Comm. in Polit. IV iv 576). Va rilevato che nelle versioni aristoteliche civilitas si divide la traduzione delle occorrenze di πολιτεία con politia (termine pure presente nella Mon.: vd. VDL s.v. politia).

Quest’ultimo si è forse specializzato in un senso più tecnico e teorico (vd. politia), mentre civilitas, almeno in D., è più orientato a identificare una comunità civile, una società organizzata sotto un ordinamento comune (anche dal punto di vista istituzionale); è interessante notare come in D. civilitas sia sempre associato a un agg., avv. o genitivo che rimandano a un concreto contesto storico-geografico (con l’eccezione, parziale, di Ep. I 8). Inoltre, civilitas in D. assume sempre un valore positivo – cfr. sempre Ep. I 8 –, mentre le politie possono anche essere connotate negativamente – vd. Mon. I xii 9). Di qui alcune oscillazioni nelle scelte da parte degli interpreti moderni, soprattutto nelle Ep. (I 7-8, VIII 3, IX 4, XI 23: «stato, governo, reggimento» in Frugoni Ep.; «vivere/consorzio civile, civiltà» in Baglio Ep., che sembra preferibile a IX 4 e XI 23 per l'assenza di connotazioni politiche) e nella Mon. (ove Chiesa-Tabarroni e Nardi Mon. –  che traduce 'comunità civile' – sostanzialmente concordano sull’interpretazione di ‘società’); si attenua così l’affermazione di Minio Paluello, Tre note, secondo cui l’unico luogo in cui civilitas non è usato da D. nel senso di ‘stato, organizzazione politica’ sarebbe Ep. XI 23 (asserzione ripresa da Frugoni Ep. e Baglio Ep. ad loc.). A De vulg. I ix 4 Tavoni De vulg. traduce «reggimento cittadino», mentre Fenzi De vulg. «comunità cittadina» (ma comunque parla di «reggimento» nella Nota al testo e nel commento ad loc.). L’oggetto resta in ogni caso un’organizzazione sociale strutturata, a carattere per lo più locale; lo stesso Fenzi De vulg. ad loc., suggerisce una reductio ad unum quando delinea un D. che associa il signif. lat. class., di valore morale, a quello politico di ascendenza aristotelica, perché «vuole qui allargare il concetto di ‘città’ (…) facendone un principio di identità politico-culturale». Nel momento, poi, in cui a civilitas si associa l’agg. humana (Mon. I iii 1), questa identità sociale e civile assume una validità universale.

Una notazione filologica a proposito di Ep. IX 22: in conclusione del passo cit., abbiamo riportato ipsius quoque esse secondo l’edizione Frugoni Ep., che, seguendo Pistelli e molti altri editori, accoglie una congettura del Witte; il codex unicus L reca invece civilitatis esse ipsum quoque, che Baglio Ep. mantiene a testo tra cruces, giudicando insanabile il passo e rilevando una debolezza nelle congetture proposte da altri editori, poiché non danno luogo a clausole di cursus. Sempre a proposito di varianti, è evidente che la lezione felicitatis a Mon. I iii 1 è una banale facilior (favorita dall'evidente assonanza), eppure vale la pena notarla: il testo rimane comprensibile, ma sostanzialmente mutato di senso, in quanto si perde la prospettiva tutta tecnica di Dante (il fine del consorzio umano strutturato secondo precisi parametri) in favore di un concetto generale, nonché assai più familiare alla mentalità dei lettori.