Hapax nel lat. dantesco; composto di pro e luo utilizzato in Eg. II 31, nella forma del part. perfetto prolutus, entro la metafora dell’acqua “che rende vate” con cui Titiro-Dante elogia la fine dottrina di Mopso-Giovanni del Virgilio («vatificis prolutus aquis»). Il v. è impiegato nel suo canonico signif. di “bagnare, aspergere”, att. nel lat. class. e più raro nel lat. mediev. (dove è prevalente l’uso in rif. al vino, tanto che prolutus diviene sinon. di ebrius: cfr. Papias s.v. prolutus: «saciatus, ebrius», Mirabile), ma traslato in senso fig. all’acqua della sorgente Ippocrene sul Parnaso, sul modello di Pers. Prol. 1 «Nec fonte labra prolui caballino» (MqDq). In ambito mediolatino, assai vicino all’uso dantesco è il passaggio di (Ps.) Ugo Falcando, Epist. Petr. 39 «poetarum ora vatifici fontis nectare proluisse» (ALIM), dove si fa analogo rif. alla fonte poetica e il v. si presenta in connessione all’agg. composto vatificus (vd. aqua, vatificus in VDL).
Nella medesima accezione si ripresenta nella poesia trecentesca, ad es. in Moggio, Carm. 6, 26 «Pectora Apollineis sicientia funditus antris / mergere, Castalio proluere imbre comas» (Poeti d'Italia); Guarino, Carm. 55, 3 «magnum redolerent pectora Phoebum / labraque proluerent pleno cratere Camenae» (Poeti d’Italia), e ancora in Pico della Mirandola, Carm. 3, 7 «Pegaseo nunquam sua proluit ora liquore» (Biblioteca italiana).
Papias (s.v. proluit): proluit: perfudit, lavit, produxit (Mirabile).
Uguccione, L 106, 48 (s.v. luo): proluo -is, procul delavare vel destruere delavando vel dispergere et effundere (DaMA).
Balbi (s.v. luo) = Uguccione (Mirabile).