Eg. 1
Hapax nel lat. dantesco, utilizzato nella iunctura «viridante coma» di Eg. II 40, nel signif. di 'chioma, capigliatura', a evocare l’immagine di Titiro-Dante cinto della corona d’alloro. In senso più ampio, esso si colloca nella disquisizione sulla laurea poetica che impernia la prima egloga dantesca, e in partic. nel passaggio in cui Titiro controbatte alla proposta di incoronazione bolognese prospettatagli da Giovanni del Virgilio (Eg. I 35-40) con l’alternativa di un’incoronazione poetica nella patria Firenze (Eg. II 42-44); al riguardo cfr. Dadà, Il lessico della laurea e i termini della medesima famiglia semantica: capillus, devincio, frons, inornatus, insero, laurus, tempus, virido in VDL.
Nel signif. dantesco, il termine registra numerose att. nella latinità class. e mediev., in prosa e in poesia. Particolarmente pertinenti in relazione al tema dell’incoronazione poetica sono le occorrenze di Verg. Aen. VIII 274, 277 e Stat. Theb. VII 170, in quanto legate al gesto rituale di cingere il capo di fronde («cingite fronde comas»; «nectere fronde comas»). Anche i lessicografi mediolatini spiegano il sost. facendo rif. a capigliature fluenti e non tagliate (specificamente femminili in Uguccione: «coma -e, proprie capilli mulierum»), come già Serv. ad Aen. V 556 «tonsa coma 'tonsa' composita: nam proprie comae sunt non caesi capilli» (CC). Non si tratta però di un termine distintivo della poesia pastorale, dato che è att. nella bucolica class. di Calpurnio Siculo (I 10; II 32; IV 111; V 100) e nella pastorale mediolatina di Modoino e Marco Valerio (Nas. II 25; Buc. IV 23), ma sempre in rif. alla vegetazione e alle chiome degli alberi.
Proprio in questa accezione D. utilizza il corrispondente volgare coma in Purg. XXXII 40 «La coma sua, che tanto si dilata / più quanto più è su», per indicare le fronde dell’albero del Paradiso Terrestre, ossia l’albero della scienza del bene e del male (cfr. coma in VD). Per intendere invece il signif. di “capigliatura, capelli”, D. utilizza in volgare il più diffuso chioma, al sing. o al plur. (vd. chioma in VD).
Nel lat. successivo a D., il termine ricorre nel signif. dantesco, ad es., in Giovanni del Virgilio, Eg. Muss. 65 «Pro te pecto comam, pro te mihi tondeo barbam» (Poeti d’Italia); Petrarca, Afr. IX 219 «Quem video teneras inter consistere lauros / et viridante comas meditantem incingere ramo?» (Poeti d’Italia), significativo per la corrispondenza di sede metrica e l’accostamento «viridante comas»; Petrarca, Buc. III 15 «ardentesque comas humeris disperserat aura» (Poeti d’Italia); Quatrario, Bursa VIII 8 «Ergo rogem, venerande mihi si delphus Apollo / vatifica redimat fronde virente comas» (Poeti d’Italia); Filelfo, Sat. III 7, 4 «Iam paeana sacrum totam cantate per urbem / frondentique comas lauro vincite nitentis!» (Poeti d’Italia), in questi ultimi in relazione al tema della laurea poetica.
Isid. Orig. XI i 30: Comae sunt proprie non caesi capilli, et est Graecus sermo. Nam comas Graeci κόμας a secando nominant, unde et κείρειν tondere [dicunt] (Mirabile).
Papias (s.v. coma): Coma crinis non incisus graecum est; pro ramis etiam ponitur arborum (Mirabile).
Uguccione, C 225, 3 (s.v. como): Item a como hec coma -e, proprie capilli mulierum, a comendo, sicut cesaries hominum, a cedendo; vel coma dicitur proprie non cesi capilli et est nomen grecum, unde comatus -a -um idest habens comas (DaMA).
Balbi (s.v. coma) = Uguccione (Mirabile).