Il sost. falsum vale 'falsità', 'ciò che è non-vero, erroneo, mendace'; come spiega lo stesso D., ciò che è «rimosso dalla veritade» (Conv. IV ii 14).
Come opposto del verum e risultato di un errore (vd. anche fallo), è impiegato da D. in tre occasioni.
ln Mon. II v 24, in primo luogo, nella menzione di problema tecnico ben definito: quello di un sillogismo con premesse false che conduce accidentalmente a una conclusione vera. D. precisa infatti che se il vero segue in qualche modo il falso («si ex falsis verum quodammodo concluditur»), ciò avviene per accidens e non per se («hoc est per accidens»), dal momento che dipende esclusivamente dalle voces dell’inferenza (o conclusione) sillogistica (illatio) e dal modo in cui si combinano («in quantum illud verum importatur per voces illationis»). Di per sé, infatti, la verità non consegue mai alla falsità («per se enim verum nunquam sequitur ex falsis»), anche se può accadere i signa che stanno per qualcosa di vero seguano i che stanno per qualcosa di falsum («signa tamen veri bene secuntur ex signis que sunt signa falsi»; vd. signum in VDL). Certamente, come osservano Chiesa-Tabarroni Mon., p. 109 la terminologia qui utilizzata dal Poeta «si avvicina a quella di Alberto Magno». Commentando Anal. Pr. II 2, infatti, il maestro domenicano osserva che le premesse di un sillogismo possono essere causa dell’inferenza di una conclusione vera («causa illationis verae conclusionis») in due modi distinti: o per se o per accidens. Per se se in virtù della loro verità. Per accidens se in virtù della materia di cui sono composte (ex parte materiae). Da questo punto di vista, delle premesse false non possono che causare l’inferenza di una conclusione vera in maniera accidentale, esclusivamente in virtù dei loro termini. L’analogia che propone Alberto è quella con due numeri dispari che sommati fra loro danno un numero pari. Come l’essere pari del terzo numero non è causato dall’essere dispari dei primi due ma – ex parte materiae – dal loro essere metà di numeri pari, così l’essere vero della conclusione non è causato dall’essere falso delle premesse, ma dal loro contenere le due metà (le due extremitates) di una conclusione vera (cfr. Alberto Magno, Anal. Pr. II, t. 1, c. 3). Va comunque sottolineato che tanto questa spiegazione quanto l’analogia con la somma numerica non sono idee originali di Alberto, ma costituiscono una ripresa pressoché letterale dal commento dell’Expositor Robert Kilwardby (cfr. Notule Pr., l. 52). E che gli stessi concetti – nella medesima terminologia – compaiono anche in un altro commentario di particolare importanza in ambiente italiano: quello di Egidio Romano (cfr. Exp. Pr., f. 55v). Il lessico utilizzato da D. in questo passaggio, quindi, non basta da solo a suggerire la sua vicinanza a un autore rispetto a un altro. Nondimeno, costituisce un chiaro segno di familiarità con le dottrine elaborate a partire da An. Pr. II 2-4 e, soprattutto, con le modalità concrete con cui venivano lette e trasmesse «nelle scuole delli religiosi e alle disputazioni delli filosofanti». Il fatto che l’Alighieri si riferisca alle voces illationis come a dei signa veri e signa falsi, da questo punto di vista, costituisce un’originale rielaborazione della sententia aristotelica, che non trova paralleli nei commentari più famosi, e che riecheggia piuttosto il commento di Tommaso al De interpretatione (vd. il campo delle corrispondenze).
Il secondo contesto in cui occorre il sost. falsum è poi costituito dalla chiarificazione terminologica che si trova in Mon. III iv 4. Dopo aver dichiarato che si può errare o assumendo il falso o violando le regole della logica, infatti, D. precisa che per 'falso' intende anche il 'non-opinabile' (vd. inoppinabilis), suo corrispondente nell’ambito del probabile (in materia probabili). In questo caso, il riferimento pare essere a Soph. El. 3 (165b 14), in cui l’inopinabilis - al pari del falsum - è definito come una delle cinque metae sofistiche - e in particolare come ciò che va contro l’opinione della maggior parte dei sapienti e che quindi risulta inammissibile nel contesto di una disputa.
Infine, il sost. falsum occorre in Questio 83, in un passaggio in cui si dichiara - con un certo parallelismo rispetto Mon. III iv 4 - che l’argomento avversario è errato perché fondato sul falso («illa ratio fundatur in falso, et ideo nihil est») e quindi - si potrebbe aggiungere - peccans in materia.
Il corrispondente volgare falso, con valore sostantivale, occorre invece con particolare pregnanza in in Conv. I ii 10 («o dice falso per rispetto alla cosa di che parla; o dice falso per rispetto alla sua sentenza»); IV Le dolci rime 47 («prima pose il falso»); IV ii 15 («riprovare lo falso […] prima si ripruova lo falso, e poi si tratta lo vero […] a riprovare lo falso s’intende in tanto in quanto la vertiate meglio si fa apparire»); IV ii 16 («prima si riprova lo falso, lacciò che, fugate le male oppinioni, la vertiate poi più liberamente sia ricevuta»); e Par. II 62 («Certo assai vedrai sommerso / nel falso il creder tuo»).