rumpo, -rupi, -ruptum, -ere (v.)

1. rompere (Castiglioni-Mariotti).
Ep. VII 29 Eia itaque, rumpe moras, proles altera Isai, sume tibi fiduciam de oculis Domini Dei Sabaoth coram quo agis, et Goliam hunc in funda sapientie tue atque in lapide virium tuarum prosterne; quoniam in eius occasu nox et umbra timoris castra Philistinorum operiet: fugient Philistei et liberabitur Israel.
Ep. 1

rumpe, Ep. VII 29

rumpere moras: Ep. VII 29

Hapax nel lat. dantesco. Il v. rumpo è ampiamente att. nel lat. class., tardoant. e mediev. col signif. di 'rompere' (vd. OLD s.v. rumpo), arricchendosi di varie sfumature semantiche in base agli ambiti d’uso. Si parte, infatti, dall’accezione letterale di 'rompere', applicata alla materia, all’uso traslato di 'infrangere un vincolo sociale o spirituale', 'violare'. Nel linguaggio poetico il nucleo semantico propriamente materiale si estende ad ambiti più astratti: può segnalare, ad es., una brusca interruzione della quiete, del sonno o del silenzio (vd. OLD s.v. rumpo 10, DMLBS s.v. rumpere 8, 9).

Nel lat. dantesco il v. ricorre in Ep. VII 29 all’interno della locuzione «rumpere moras», col signif. di 'affrettarsi', 'rompere gli indugi'. Si tratta di una locuzione molto diffusa già nella poesia class.: l’occorrenza dantesca è infatti una citazione da Aen. IV 569 («Heia age, rumpe moras»), nel punto in cui il dio Mercurio appare in sogno ad Enea per esortarlo ad abbandonare Cartagine e a proseguire nella sua missione; D. si serve dell’emistichio virgiliano per indurre Enrico VII a tralasciare le rivolte nel nord Italia, sollecitandolo a muovere il suo esercito contro la ribelle Firenze.

La locuzione virgiliana è att. inoltre nel lat. mediev. prima e dopo D.; ricorre ad es. in Boccaccio, Carm. II ix 152 «Rumpe moras felixque veni» (Poeti d'Italia) e si protrae fino al lat. quattrocentesco e cinquecentesco, come in Iacopo Sannazaro, Pisc. IV 11 «Rumpe moras, nec te latis Hispania regnis / alliciat stirpisve tuae primordia» (Poeti d'Italia); Baldassarre Castiglione, Carm. V 100 «Atque moras omnes rumpe» (Poeti d'Italia); Pietro Bembo, Carm. exp. VII 113 «Eia age, rumpe moras vacuumque relinque cubile» (Poeti d'Italia).

Il corrispettivo volgare di rumpo è rompere, largamente diffuso nell’opera dantesca con un ambito semantico altrettanto vasto. Viene impiegato nella sua accezione primaria di 'spezzare', 'infrangere', specialmente in rif. alle rocce e alle pietre di Inf. e Purg. (vd. ED s.v. rompere); dal lat. ricava anche il signif. fig. di 'violare' una legge o un vincolo (ad es. Purg. I 46 «Son le leggi d'abisso così rotte?»). L’uso della locuzione lat. «rumpere moras», che costituisce la sola occorrenza di rumpo nel lat. dantesco, si trova nel Fiore, dove «moras» corrisponde al volgare «trieve» (ovvero le 'tregue'): «Lo Dio d' Amor sì avea rotte le trieve» (Fiore, 218, 9).

Per i composti di rumpo utilizzati da D., vd. VDL s.v. abrumpo, corrumpodirumpo, irrumpo, prorumpo.

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Voce corrispondente nelle opere volgari di Dante:
rompere, vd. ED (A. Mariani).
Latino classico e tardoantico:

ampiamente att. nel lat. class. col signif. di 'rompere', 'spezzare'. Ricorre generalmente in rif. a oggetti materiali. Traslatamente può indicare la rottura figurata di vincoli sociali, diventando sinon. di 'violare', 'infrangere', in rif. a patti, contratti, matrimoni, ecc. (vd. OLD s.v. rumpo 11, 12). Compare in locuzioni fig. come «rumpere silentium» e «rumpere moras» (vd. OLD s.v. rumpo 10), per rumpere moras vd. ad es. Verg. Georg. III 43 En age segnis / rumpe moras; uocat ingenti clamore Cithaeron / Taygetique canes domitrixque Epidaurus equorum / et vox adsensu nemorum ingeminata remugit (MqDq); Aen. IV 569 Heia age, rumpe moras (MqDq); Aen. IX 13 Quid dubitas? nunc tempus equos, nunc poscere currus. / Rumpe moras omnis et turbata arripe castra (MqDq); OvMet. XV 583 Tu modo rumpe moras portasque intrare patentes / Adpropera: sic fata iubent (MqDq); Lucan. II 525 Rue certus et omnis / lucis rumpe moras et Caesaris effuge munus (MqDq); Mart. II 64, 9 Heia age, rumpe moras: quo te sperabimus usque? (MqDq). 

Latino medievale:

nel lat. mediev. sono att. gli stessi signif. del lat. class. e tardoant, per cui cfr. DMLBS s.v. rumpere. Per la locuzione «rumpere moras» cfr. ad es. Bernardo di Clairvaux, Epist.182 nunc itaque rumpe moras, fac cito quod scripsisti (CC); Pietro da Eboli, Carm. Sic. I vi 6 Rumpe moras, venias comitatus utraque prole; / prole recepturus regia sceptra, veni. / Rumpe moras, postpone fidem, dimitte maritam (ALIM); Stefanardo da Vimercate, Gest. Med. II 144 eya rumpe moras, te celi oracula poscunt (CC).

Lessicografi medievali:

Papias (s.v. rumpo): rumpo, -pis, rupi, ruptus facit (Mirabile).
Uguccione, R 53, 1 (s.v. rumpo): rumpo, -is, -pi, -ptum, idest frangere vel solvere (DaMA).
Balbi (s.v. rumpo): rumpo, -pis, rupi, ruptum id est frangere vel solvere. Unde hic ruptatura -rae et ruptim adverbium. Item a rumpo, rupto, -tas frequentativum et ruptito, -as aliud frequentativum (Mirabile).

Commentatori danteschi:

Benvenuto da Imola ad Purg. IX 34-42: Tunc Ulyxes appropinquans illi, dixit: Quid dubitas? Scimus quis es: Graecia tua expectat te signis suspensis: ergo rumpe moras audacter (DDP).

Autore: Sofia Santosuosso.
Data redazione: 05.01.2022.
Data ultima revisione: 05.01.2022.